
Siamo abituati a concepire la metafora come a un’espressione di tipo linguistico, mentre in realtà la sua natura è molto più complessa, e di tipo cognitivo. Come hanno evidenziato molti studiosi, fra cui George Lakoff e Umberto Eco, la metafora rappresenta un meccanismo cognitivo fondamentale attraverso cui ragioniamo. Infatti, grazie a questo strumento cognitivo, rendiamo comprensibili concetti astratti e acquisiamo nuova conoscenza scoprendo il nuovo a partire dal già noto.
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La tesi di George Lakoff: il sistema concettuale ha natura metaforica
Studiare il linguaggio per comprendere il pensiero
Secondo il linguista George Lakoff e il filosofo Mark Johnson, i ragionamenti di cui ci serviamo per conoscere il mondo ed elaborare le informazioni presentano una componente astratta, concettuale.
I concetti riflettono il modo in cui un individuo vive, lo sguardo che adotta per risolvere i problemi e per creare modelli di comportamento che lo aiutino a sopravvivere. Il sistema concettuale, quindi, ha una funzione cognitiva e pragmatica allo stesso tempo, perché ha a che fare tanto con l’apprendimento quanto con l’azione.
Lakoff e Johnson avanzano l’ipotesi di una identificazione fra pensiero e linguaggio nel senso che questi due domini funzionano a partire dallo stesso sistema concettuale. In questo senso, la comunicazione esternalizzata attraverso il linguaggio è un accesso preferenziale per lo studio dei meccanismi profondi che regolano la cognizione.
La funzione cognitiva della metafora
Studiando il linguaggio, Lakoff e Johnson si rendono conto che è intessuto di metafore e che dunque anche gli stessi concetti si strutturino in base ad un’organizzazione metaforica.
Dimostrano la loro tesi con il famoso esempio sulla metafora “la discussione è una guerra”. Scrivono che “sebbene non ci sia un combattimento fisico, c’è tuttavia un combattimento verbale, che si riflette sulla natura della discussione: attacco, difesa, contrattacco”.
In altre parole, quando partecipiamo a una discussione non semplicemente la descriviamo come una guerra ma ci comportiamo come lo fosse realmente: noi vinciamo o perdiamo la discussione, vediamo l’interlocutore come un nemico, e quindi attuiamo strategie e attacchiamo la sua posizione, perdendo o conquistando terreno. Insomma, molte cose che facciamo quando discutiamo sono strutturate sul concetto di guerra.
In questo senso, dunque, i due pensatori sostengono che la metafora non sia semplicemente un abbellimento della forma linguistica, ma che è un meccanismo cognitivo fondamentale. Cioè, il pensiero è strutturato in modo metaforico. Gli esseri umani metaforizzano concetti complessi e li rendono più semplici, cioè utilizzano concetti più sviluppati per spiegare quelli non ancora noti, mettendo in rapporto genetico due domini in conflitto.
La tesi di Umberto Eco: la metafora è un interpretante
Nella vastissima produzione di Umberto Eco troviamo riflessioni anche sulla metafora, che descrive in quanto strumento cognitivo importantissimo attraverso cui acquisiamo nuova conoscenza. Grazie alla metafora, riorganizziamo le nostre conoscenze in funzione di un’associazione inedita fra domini che, prima, non avevano niente in comune.
Una metafora non si limita a dire che un oggetto A è uguale a un oggetto B. Collegando i due elementi, la metafora li introduce in un nuovo spazio in cui l’associazione dei due crea una prospettiva nuova sul mondo.
La posizione di Umberto Eco è largamente influenzata da quella di Charles Sanders Peirce. Peirce è famoso per aver realizzato una concezione generale del segno considerabile parte integrante di una più vasta teoria sui meccanismi della conoscenza umana.
Umberto Eco e Peirce sulla cognizione umana
Secondo Peirce, il segno ha una struttura triadica organizzata intorno ai tre poli dell’oggetto, del segno (detto anche representamen) e dell’interpretante. Il segno “parla di” un oggetto rappresentandolo sotto determinati aspetti. Per comprendere l’oggetto di cui il segno parla, cioè il suo significato, abbiamo bisogno di un altro segno detto interpretante. E questo perché il segno è strutturalmente incompleto e quindi necessita di un altro segno più sviluppato per potersi “spiegare”.
La “spiegazione” operata dall’interpretante illumina la connessione esistente fra il segno e l’oggetto cui si riferisce, e quindi potremmo dire che traduce un dominio in un altro dominio assicurando il passaggio da uno all’altro.

Facciamo un esempio: una maestra scrive alla lavagna la parola “gatto”, ma per far sì che il bambino capisca il significato di questo segno la maestra dovrà utilizzare un altro segno che spieghi la relazione sussistente fra “gatto” e l’oggetto “gatto”. Questo altro segno, che è l’interpretante, potrebbe essere la rappresentazione figurativa di un gatto.
Il punto è che anche l’interpretante è un segno e quindi è pur sempre strutturalmente incompleto, e quindi per poter essere compreso necessiterà di un altro interpretante, e quest’ultimo di uno a sua volta, e così via, potenzialmente all’infinito. È ciò che si chiama semiosi illimitata.
A ben vedere, dire questo significa dire che non arriveremo mai ad una comprensione esatta dell’oggetto significato, cioè del mondo, perché i segni lo rappresentano da diverse prospettive e mai nella sua totalità. Quindi, la semiosi, cioè l’interpretazione, determina sempre maggiormente il mondo nel contesto di un processo potenzialmente infinito, asintotico.
Metafora e interpretazione
Ma cosa c’entra tutto questo con la metafora?
C’entra, perché secondo Eco la metafora funziona da interpretante. L’espressione “interpretante” rimanda all’idea di passaggio “inter-partes” cioè fra le parti, garantita da una rappresentazione mediatrice che assicura tale passaggio. La metafora fungerebbe proprio da tale rappresentazione, cioè da interpretante, perché traduce un dominio semiotico in un altro dominio semiotico. E così operando, amplia la conoscenza umana.
Ecco figliolo: se tu avessi detto semplicemente che i prati sono ameni altro non avresti fatto che rappresentare il verdeggiare – di cui già so – ma se tu dici che i Prati ridono mi fai vedere la Terra come un Huomo Animato, e reciprocamente apprenderò a osservare nei volti umani tutte le sfumature che ho colto nei prati.
Eco, 1994
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