Il Futuro dell’educazione

Il Futuro dell’educazione

L’istruzione deve evolversi a tutti i livelli per insegnare ai bambini le competenze necessarie per vivere in accordo al futuro che li aspetta. Molti lavori futuri ancora non esistono, ma dal momento che gli studenti di oggi potrebbero occuparsene dovrebbero essere adeguatamente preparati. Ad esempio, si stima che il settore tecnologico proporrà 150 nuovi posti di lavoro entro i prossimi cinque anni e molti di quelli già esistenti potranno essere eseguiti da casa.

Come ci prepariamo?

Tempo di lettura stimato: 12 minuti

Il futuro dell’educazione nei contenuti

Secondo Bernard Marr di Forbes, abbiamo bisogno di un nuovo focus educativo che incrementi alcune competenze, fra cui:

  • Cittadinanza globale (ovviamente non solo occidentale e che comprenda anche quelle di sostenibilità)
  • Innovazione e creatività (che include il problem solving e il pensiero analitico)
  • Tecnologia (fra cui scienza dei dati e programmazione)
  • Abilità interpersonali (per esempio intelligenza emotiva, empatia, cooperazione e consapevolezza sociale). Tanto più le macchine automatizzeranno il lavoro esulandoci da molti compiti oggi essenziali, quanto più dovremo valorizzare gli aspetti prettamente umani. Per questo dovremmo investire risorse, e non solo cognitive, nell’etica e nella diversità. Infatti, i dispositivi tecnologici sono molto potenti, però l’abilità di deciderne l’utilizzo è umana (ancora).

Il futuro dell’educazione nelle modalità di insegnamento

Il nostro sistema educativo è rimasto più o meno lo stesso dall’epoca della prima rivoluzione industriale. La modalità tradizionale, fra le altre cose, prevede una disposizione frontale e un contatto praticamente unilaterale della professoressa/professore con le alunne e gli alunni. Nonostante, almeno in linea teorica, sia ammesso il confronto fra le parti coinvolte, il processo educativo si appoggia ancora a quel modello che Plutarco criticava già più di duemila anni fa. Infatti, scriveva: “Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”.

Questa interessante riflessione ci aiuta a capire come la scarsa partecipazione del discente nella realizzazione dei propri risultati cognitivi sia non solo sbagliata ma anche pericolosa.

In pedagogia, esistono delle posizioni che offrono scenari differenti, come quelle del costruttivismo e del costruzionismo di cui abbiamo già parlato.

Secondo il costruttivismo, l’apprendimento è un processo di sviluppo tarato sulle propensioni e sul capitale simbolico già acquisito della studentessa e dello studente. In questo contesto, l’insegnante non fornisce direttamente nozioni ma aiuta a riadattare quelle già esistenti in funzione del nuovo apprendimento, che sarà quindi coerente con ciò che la persona già è e vuole diventare. L’obiettivo dell’educazione costruttivista è che la/il discente si assuma una maggiore responsabilità delle proprie azioni nel contesto di un processo non più etero-diretto ma autogestito e flessibile.

Nel futuro dell’educazione l’insegnante sarà quindi un facilitatore, piuttosto che un mero dispensatore di contenuti preconfezionati da memorizzare asetticamente.

Secondo Forbes, questo cambiamento sarà agevolato dall’introduzione di una serie di cambiamenti nel settore educativo.

I fattori che agevoleranno il cambiamento

Maggiore digitalizzazione dei contenuti e apprendimento online

“Credo che l’adozione della tecnologia dell’informazione nell’istruzione sarà ulteriormente accelerata nel corso del 2022″, afferma Wang Tao, vicepresidente di Tencent Cloud e di Tencent Education. “Alla fine diventerà una componente integrante dell’istruzione scolastica, ma avremo ancora bisogno di insegnanti e molti contatti faccia a faccia. Immagino che emergerà un nuovo modello di istruzione ibrido, che creerà il meglio di entrambi i mondi per gli studenti e gli istituti di istruzione superiore”. Quindi integrazione, piuttosto che sostituzione dei contenuti tradizionali. Perché se è vero che l’e-learning consente una maggiore personalizzazione dell’apprendimento, è anche doveroso riconoscere che il contatto concreto e diretto con l’insegnante è fondamentale ai fini educativi. E non è mai stato così chiaro come oggi, quando lentamente usciamo da un’emergenza pandemica che ci ha costretti all’isolamento con importantissime ricadute umane e pedagogiche.

Apprendimento più collaborativo

Il futuro dell’educazione è basato su progetti di gruppo e sulla risoluzione di problemi, che prepara meglio a ciò che il lavoro diventerà a breve.

Apprendimento più semplice

Se la capacità d’attenzione degli umani è di circa otto secondi, bisognerà fare in modo che le informazioni vengano fornite come “spuntini” poco impegnativi. In altre parole, nel futuro dell’educazione bisognerà fare in modo che vengano conservati più contenuti possibili nel passaggio dalla memoria di lavoro a quella a lungo termine, considerando la nostra naturale bassa concentrazione. A questo proposito, per esempio, esistono degli studi che dimostrano l’utilità dei videogiochi nell’apprendimento di materie solitamente ostiche come la matematica o la storia.

Apprendimento più immersivo

Il futuro dell’educazione prevede una maggiore interazione con dispositivi come la realtà virtuale e quella aumentata che possono favorire l’immersione in una materia e un maggior coinvolgimento.

I nuovi dispositivi tecnologici

Prima di tutto stiamo in guardia: il caso dei tassisti londinesi

Riflettere sul futuro dell’educazione significa parallelamente riflettere sull’etica dell’utilizzo dei dispositivi, perché se vogliamo introdurli nel processo di apprendimento per ottimizzarlo potrebbero anche portare a risultati controproducenti.

Ricordiamo i numerosi studi che dimostrano la dipendenza della cognizione umana dalla relazione mano-mente. Non considerare questa fondamentale relazione disincentivando attività come la scrittura a mano (e in corsivo) potrebbe causare trasformazioni negative anche dal punto di vista neurologico. Visto che abbiamo già citato l’approccio costruttivista, ricordiamo che, similarmente, sostiene che il pensiero si formi a partire dal contatto con il mondo. Inoltre, il costruzionismo (che deriva dal costruttivismo) afferma che la cognizione è un processo derivante dalla manipolazione di oggetti concreti e quindi letteralmente dalla “costruzione” delle idee.

Questa parentesi serve come monito a non spegnere mai le riflessioni sulla relazione uomo-macchina. La tecnologia aumenta le nostre capacità o le diminuisce? Pensiamo, ad esempio, allo studio sull’ippocampo dei tassisti londinesi. Un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra ha studiato la relazione fra l’apprendimento e il cervello, e hanno scelto questa categoria di lavoratori perché, per ottenere la licenza, devono imparare 25000 strade e superare un test la cui preparazione richiede dai tre ai quattro anni. Gli studi dimostrano che avevano un maggior volume di materia grigia nella regione posteriore dell’ippocampo. Chiaramente, essendoci dispositivi come i navigatori satellitari che ci esulano da questo immenso lavoro mnemonico, noi abbiamo dimensioni cerebrali inferiori.

Realtà virtuale

La realtà virtuale (come quella aumentata, le nanotecnologie, il quantum computing, l’AI, la robotica etc.) fa parte delle cosiddette “tecnologie esponenziali” o “emergenti”, perché  nel tempo incrementano le loro capacità molto più velocemente rispetto alle altre. Il primo che si è accorto di questa caratteristica è Gordon Moore, co-fondatore di Intel. Moore scrisse un articolo dove notava che, nel periodo compreso fra il 1959 e il 1965 il numero di transistor che formano un processore (in pratica, la capacità di calcolo del processore) è raddoppiato ogni anno. Queste tecnologie hanno cambiato radicalmente i nostri stili di vita negli ultimi anni e continueranno a farlo in modo ancor più massiccio, perché fra le conseguenze del miglioramento più accelerato c’è anche il crollo dei costi.

La realtà virtuale è un modo con cui possiamo ingannare i nostri sensi e immergerci in una realtà artificiale. L’immersione può essere estremamente utile in alcuni casi e anche nell’apprendimento: pensiamo al training di giovani chirurghi, oppure all’app SkyView che aiuta gli utenti a esplorare la galassia identificando stelle, costellazioni, pianeti, satelliti. Ashley Murphy da Masterstudies.com riporta come il 70% degli insegnanti desideri iniziare a usare la realtà virtuale durante le lezioni e il 97% degli studenti affermi che si iscriverebbe ad un corso che la preveda.

Realtà aumentata

La realtà aumentata fa parte di un settore in fortissima espansione; infatti, molti analisti sostengono che gli investimenti in strumenti didattici che la integrano potrebbero raggiungere i 5 milioni di dollari entro la fine dell’anno. La realtà aumentata sovrappone informazioni aggiuntive alla realtà di cui facciamo quotidianamente esperienza, e può aiutarci ad essere più performanti in ogni momento. Può essere considerata come la visualizzazione concreta di un’espansione artificiale delle nostre abilità cognitive. Per esempio, Microsoft HoloLens usa la realtà mista per insegnare l’anatomia nonché le modalità di trattamento sanitario. L’utente che indossa le “lenti” può isolare, ingrandire e persino camminare all’interno di parti del corpo umano.

Realtà estesa

La realtà estesa è simile a quella virtuale e aumentata, ma con la particolarità di riuscire a creare modelli virtuali di luoghi reali entro cui si può compiere diverse attività. Per esempio, grazie a piattaforme come Google Expeditions, gli insegnanti possono portare i propri alunni in un tour virtuale del Louvre o guidarli in un’escursione attraverso la tundra artica (senza i pericoli che comporta andarci veramente).

Insegnanti robot

Non è fantascienza, è già attuale e potrebbe trattarsi non di un segnale isolato quanto piuttosto di una vera e propria tendenza di evoluzione. L’azienda francese Aldebaran Robotics ha progettato NAO, un robot umanoide utilizzato come risorsa didattica per i bambini con autismo dal 2013. NAO è progettato per incrementare la qualità dell’interazione sociale e le capacità di comunicazione verbale. In Cina, gli insegnanti della scuola materna si servono dell’assistenza di un piccolo robot chiamato Keeko, che racconta storie, propone problemi e risponde con espressioni facciali positive quando gli alunni rispondono correttamente.

Intelligenza artificiale e apprendimento automatico

Lo sappiamo, l’AI è più veloce ed efficiente di noi quando si tratta di elaborazione logico-matematica sulla base della quale prendere decisioni. Però l’AI non riesce (ancora, forse) ad eguagliare le capacità umane perché i processi decisionali che ci caratterizzano non includono semplicemente l’analisi logico-matematica, anzi. Recenti studi sulla cognizione dimostrano l’interconnessione fra emozione e pensiero analitico. Senza sentimenti non riusciremmo a capire come muoverci nel mondo, rispetto agli altri e a noi stessi. Quindi, l’attività dell’insegnante per ora non può essere sostituita, ma integrata da questi strumenti per compiere lavori ripetitivi come fare fotocopie o prendere le presenze. In questo modo gli insegnanti avranno più tempo per concentrarsi sul lato umano dell’istruzione.

Chatbot

I chatbot offrono la possibilità di rispondere in pochi secondi a determinati quesiti, riducendo quindi i compiti degli insegnanti e le tempistiche di attesa degli alunni. in pochi secondi. In futuro diventeranno più sofisticati e sapranno rispondere a problemi complessi, per esempio suggerendo agli studenti come migliorare i propri temi scolastici.

Codici QR

I codici QR potrebbero essere dispositivi importanti per lo sviluppo del settore educativo. Per esempio, la Northeastern University di Boston li utilizza per monitorare lo stato di benessere dei suoi studenti. Sono sparsi nella zona nord-orientale per fornire dettagli su eventi di vario genere, calendari, servizi di supporto.

Un’educazione migliore: sì, ma per tutti!

Il futuro dell’educazione deve essere equo e non discriminatorio.

In economia e sociologia si parla di “effetto San Matteo” per riferirsi alle conseguenze dei gap economici e culturali che caratterizzano le nostre società.

Prende il nome dal versetto 25,29 del Vangelo di San Matteo, che recita: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.”. Vuol dire che chi parte svantaggiato non avrà gli stessi risultati di coloro che appartengono ad una classe sociale più elevata. Cioè, i risultati sono proporzionali alla situazione di partenza.

Nonostante i livelli di mobilità sociale si siano alzati, non è abbastanza. Indipendentemente dallo sforzo impiegato per scavalcare la propria classe sociale, nella maggioranza dei casi si rimane impantanati nella situazione di partenza. Come sostiene il sociologo Pierre Bordieu, ogni individuo nasce con uno specifico capitale simbolico e culturale che determina la presenza e l’assenza di esigenze. Ciò vuol dire che una persona di classe bassa non riuscirà neanche a concepire le stesse domande o gli stessi desideri di una che appartiene ad una classe superiore, costringendo la struttura sociale a perpetuare la sua cristallizzazione.

Abbiamo bisogno di un’educazione democratica

Ecco perché è necessario un intervento politico per diminuire il gap e fornire le stesse opportunità a tutti. Durante la pandemia abbiamo visto come una minore disponibilità economica possa influire sulle possibilità di avere una buona istruzione: chi aveva solo un computer in famiglia, chi una larghezza di banda insufficiente, chi un’inadeguata preparazione tecnologica – chi tutto insieme. E potremmo continuare.

Dunque, la tecnologia ci fornisce strumenti per migliorare ma anche peggiorare le cose. Sta a noi capire come impiegarli correttamente.

Dal momento che l’istruzione è un diritto fondamentale, bisogna pretendere che sia a disposizione di tutti, perché altrimenti causerebbe un incremento vertiginoso di quelle stesse disuguaglianze che dobbiamo combattere.

Un esempio da seguire

Andy Hargreaves è direttore di CHENINE (Change, Engagement and Innovation in Education) all’Università di Ottawa e professore di ricerca presso la Lynch School of Education and Human Development al Boston College. Insieme al suo collega Dennis Shirley ha lavorato alla progettazione di una rete che potesse collegare gli educatori in cinque stati, con lo scopo di ridurre il gap fra gli studenti poveri e quelli più abbienti, combattendo l’isolamento delle scuole rurali.

In altre parole, dovremmo investire non soltanto nella costruzione di nuove tecnologie ma anche nella progettazione di modalità per un loro impiego più intelligente e inclusivo.

Post Author

Martina Grinello

Laureata in filosofia con lode, sono specializzata in semiotica e teoria dei linguaggi, quindi studio i meccanismi di significazione che orientano i processi cognitivi all’interno delle relazioni comunicative. Dedico particolare attenzione all’analisi delle narrazioni socialmente condivise. Ad oggi, creo contenuti per il web declinando la mia esperienza, le valorizzazioni collettive e l’identità del promotore in ottica SEO.

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